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(1999) per pianoforte
Prima esecuzione Milano, 27 settembre 1999
Carlo Levi Minzi pianoforte
Durata 6’30” ca.
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La composizione, versione pianistica di un precedente pezzo per organo, “In memoriam”, è costruita sulla base dell’orazione funebre di S. Ambrogio in morte del fratello Satiro, “De excessu fratris”. Tali estratti si collegano ad altrettanti incisi di canto liturgico, celebrativi di S. Ambrogio. Le quattro sezioni, in cui il lavoro si articola, fanno riferimento pertanto non solo alle immagini contenute nei frammenti dell’orazione funebre, ma anche al materiale musicale dell’Antifona “Commune doctorum”.
Si riportano i quattro estratti letterari.
1
Stringebam quidem brachia, sed iam perdideram, quem tenebam, et
extremum spiritum ore relegebam, ut consortium mortis haurirem. Sed nescio quomodo uitalis ille mihi halitus factus est…
(Stringevo, sì, le mie braccia, ma ormai avevo perduto chi stavo abbracciando e ne raccoglievo con la bocca l’estremo anelito, per aspirare la morte insieme con lui. Ma, non so come, quel suo anelito è divenuto per me fermento di vita…)
2
Raptus est, ne in manus incideret barbarorum, raptus est, ne totius orbis excidia, mundi finem, propinquorum funera, ciuium mortes, postremo ne sanctarum uirginum atque uiduarum, quod omni morte acerbius est, conluuionem uideret.
(Fu rapito perché non cadesse nelle mani dei barbari, fu rapito perché non vedesse l’eccidio di tutta la terra, la fine del mondo, l’uccisione dei suoi cari, la morte dei cittadini, infine – pena più crudele d’ogni morte – la profanazione delle vergini consacrate e delle vedove).
3
Per umbram ad ueritatem peruenire nitamur.
(Attraverso l’ombra sforziamoci di giungere alla verità).
4
Caelum ipsum non semper stellarum micantium globis fulget et quasi quibusdam insignitur coronis. Non semper ortu lucis albescit, radiis solis rutilat, sed adsiduis uicibus ille quidam mundi uultus gratissimus umenti noctium caligat horrore. Quid gratius luce, quid sole iucundius?
Quae cottidie occidunt; tamen decessisse nobis haec non moleste ferimus, quia redire praesumimus.
(Anche il cielo non sempre risplende per le lucenti sfere delle stelle ed è, per così dire , adorno di corone. Non sempre biancheggia per il sorgere della luce, è dorato dai raggi del sole, ma con assidua vicenda quel graditissimo volto del mondo, diciamo così, è oscurato dall’umido brivido delle notti. Che c’è di più gradito della luce, di più lieto del sole? Essi ogni giorno tramontano; tuttavia non ci affliggiamo che ci siano venuti a mancare, perché sappiamo in anticipo che entrambi ritornano).