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(1991-1992) cinque liriche per soprano e piccolo organico strumentale con azione coreografica ad libitum
Testi di Giambattista Marino, Ugo Foscolo, Teofilo Folengo, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso
Prima esecuzione Torino, 9 giugno 1992
Gayaneh Tapacian soprano
Carlo Feige violino
Brunello Gorla corno
Annibale Rebaudengo pianoforte
Maurizio Ben Omar percussioni
Massimo Zanetti direttore
Edizione Ricordi
Partitura (135983) in vendita al seguente link
Organico Soprano – Cor. Perc. Pf. Vl.
Durata 42’ ca.
- Polittico – quadro primo (1991)
Testo di Giambattista Marino
Organico Soprano – Cor. Perc. Pf. Vl.
10’ ca.
- Polittico – quadro secondo (1992)
Testo di Ugo Foscolo
Organico Soprano – Cor. Pf.
9’ ca.
- Polittico – quadro terzo (1992) per percussione e 4 strumentisti recitanti
Testo di Teofilo Folengo
6’ ca.
- Polittico – quadro quarto (1992)
Testo di Ludovico Ariosto
Organico Soprano – Perc. Vl.
7’ ca.
- Polittico – quadro quinto (1991)
Testo di Torquato Tasso
Organico Soprano – Cor. Perc. Pf. Vl.
10’ ca.
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La composizione Polittico, la cui stesura ha interessato alcuni mesi del 1991 e del 1992, è costituita da cinque quadri per soprano e piccolo ensemble. L’organico massimo utilizzato, che prevede, oltre alla voce, il violino, il corno, alcuni strumenti a percussione ed il pianoforte, viene impiegato nella sua totalità solo nel primo e nell’ultimo dei brani (testi di Marino e di Tasso), mentre il secondo ed il quarto utilizzano due diverse formazioni di trio; il secondo, su versi di Foscolo, il soprano, il corno ed il pianoforte; il quarto, su un verso di Ariosto, il soprano, il violino e la percussione. Il terzo pezzo, costruito significativamente sul testo in latino maccheronico di Folengo, si configura come un duo di soprano e percussione, con interventi esclusivamente parlati degli altri esecutori. L’impianto complessivo, per quel che riguarda la distribuzione dell’organico, può richiamare una sorta di forma ad arco, dissacrata dall’inserimento dell’ironico pezzo centrale.
I testi impiegati nelle cinque liriche sono tra loro collegati da immagini di donna ed evidenziano, nel loro succedersi, la costruzione secolare di miti femminili e la diversità della loro funzione. Ci troviamo di fronte ad un complesso mondo che, trascendendo il periodo storico nel quale le figure di donna vengono collocate e le differenti poetiche degli autori, assurge a valore universale. È opportuno pertanto che, nella messa in scena, pur ricercando una precisa caratterizzazione dei cinque quadri, come parallelamente accade sul versante musicale, si eviti una collocazione spazio-temporale aderente al periodo di composizione dei testi o alle vicende illustrate. Per sottolineare, invece, la portata assoluta delle immagini di donna che si avvicendano, vere categorie spirituali, è essenziale che la sceneggiatura ed i costumi si pongano in una dimensione atemporale, privilegiando l’aspetto coloristico.
Volti diversi, femminili, si affacciano dallo script per la versione scenica di Polittico. Integrate, fuse nella stessa lega metallica dei musicisti, cinque danzatrici – attrici in un labirintico percorso scenico – scandiscono gli angoli e le svolte che portano a Clorinda.
La tenebrosa e incantevole Venere oscura che apre il paesaggio è la donna radicale, la luna nera, il cui fascino, se nel testo di Marino è leggiadro e formalizzato, in linea con la poetica barocca della meraviglia, è ricco di contrasti e di soluzioni inaspettate nel tessuto musicale.
Da qui, su versi del Foscolo, parte, come in un catalogo, una sorta di micro polittico all’interno del più grande Polittico, la raccolta di cinque affetti femminili inquadrati nel secondo pannello, cinque figure danzanti ben differenziate e geometricamente equidistanti, come in una ronde, dal centro pulsante dell’azione musicale.
La terza donna, coraggiosa nelle avversità della vita, partorisce “soletta”, mentre le percussioni, sull’ironica traccia del latino maccheronico di Folengo, marcano i ritmi vitali che la sconvolgono.
Riprende il trio con «chi salirà per me …» e la donna, che nell’Ariosto è motore delle vicende e dei sentimenti umani, si assottiglia e si distacca dalle cose terrene, frammentando il lessico della sua corporeità, scomparendo nella sintassi di gesti astratti.
Tutte queste figurine, come le statue allegoriche che scandiscono i ritmi di un labirinto rinascimentale, portano ad un centro. È la danza di Clorinda, l’eroe del nostro tempo, la donna che convive ormai con la guerra, e che della guerra, e degli orribili malintesi che essa porta con sé, è vittima. Clorinda qui non è “la feroce”, non è la vergine guerriera che tiene testa all’ombroso Tancredi. Qui il testo riporta solo il gesto, cruento, della ferita mortale. Non c’è, come in Monteverdi, né sfida né salvezza. Clorinda è la creatura sanguinosamente sacrificata all’elogio della testardaggine, piuttosto figlia di Apocalypse Now che delle Crociate. (Sonia BO)
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